Nel 1946, quando Andrea Bordino entrò come postulante nella Piccola Casa, la comunità dei Fratelli era composta da circa cinquanta Fratelli.
Abituato ai lavori nei campi, nella Piccola Casa Andrea iniziò e affrontò senza difficoltà il servizio: puliva i malati, li medicava, con le sue robuste braccia alzava quelli immobilizzati e gli handicappati gravi. Lo faceva con serenità e pazienza, dalle cinque del mattino fino a tarda sera. Unico svago: il giovedì pomeriggio, come era di abitudine per i postulanti della comunità religiosa, Andrea usciva per una passeggiata tra il verde della collina per respirare un po’ di aria buona e sollevare l’umore.

Il servizio quotidiano verso i poveri e i malati si alternava a momenti di preghiera, di adorazione, la Santa Messa, le meditazioni.

In primavera e in autunno gli assistiti aumentavano: dalla varie contrade del Piemonte molti barboni scendevano a Torino e andavano all’Ospedale Cottolengo per essere rimessi in sesto. Andrea li accoglieva, tagliava loro i capelli, li disinfestava, li lavava, li rivestiva con abiti puliti e dignitosi. Con loro stabiliva rapporti di amicizia.
Un giorno, il superiore della comunità gli chiese di andare in collina, a Cavoretto, a falciare l’erba nel giardino dell’istituto delle Suore Carmelitane, una delle famiglie religiose fondate da san Giuseppe Cottolengo. Andrea obbedì. Lo fece per alcuni anni, nonostante la fatica che richiedeva questo servizio: il prato scosceso e l’erba fitta lo facevano sudare e gli indolenzivano le mani. Ma per lui, curare i malati, lavorare i campi, lavare i piatti non faceva differenza: l’importante era rendersi utile al prossimo.

«Voglio lasciarmi condurre per mano da Gesù»

Il cammino vocazione di Andrea, con altri cinque giovani, procedeva serenamente. La crescita spirituale e il lavoro a fianco dei malati erano sorretti da una vocazione seria, dall’impegno profondo e da una costante unione con Dio.

Ricevuto il parere favorevole del confessore e dell’assistente, il 13 luglio 1947 Andrea presentò domanda per entrare in noviziato. Il giorno dopo fu chiamato dal prefetto, don Bona, al quale Andrea ribadì il proprio desiderio: «Voglio lasciarmi condurre per mano da Gesù.»

Il prefetto rispose: «La Regole scritte dal santo Cottolengo chiedono di realizzare lo spirito e l’esperienza della primitiva comunità cristiana, quella dei primi capitoli degli Atti degli Apostoli, dove tutti sono concordi nella preghiera e tutto è messo in comune; non solo ciò che si possiede, ma ciò che si è. Quegli uomini e quelle donne vivono in un solo cuore, uniti dalla carità fraterna. Distaccati e spogli di tutto, noi dobbiamo fare altrettanto: condividere la nostra vita con quella dei sofferenti e con i poveri, nostri padroni, che intendiamo servire per onorare la Divina Provvidenza».

«Non chiedo di meglio – rispose Andrea –. Mi sento un povero; anzi, se i poveri sono i miei padroni mi stimo fortunato di essere loro garzone».

«Dio ti benedica». «Deo gratias!».

E prima che Andrea uscisse dall’ufficio, il prefetto aggiunse: «Se vuoi la grazia della perseveranza, chiedila al Signore tutti i giorni della tua vita».

«Spero di riuscire a compiere in tutto la volontà di Dio».