Prigionieri dei sovietici
Nel dicembre 1942 i sovietici sferrarono una grande offensiva con una manovra a tenaglia. Il Corpo d’armata alpino si trovò a dover ripiegare in condizioni di inadeguatezza di mezzi, armi e vestiario.
Il 26 gennaio 1943 i due fratelli furono fatti prigionieri dai sovietici.
Gli scarponi perdevano le suole, i piedi congelati erano avvolti in brandelli di coperte, le gambe affondavano nella neve alta: erano queste le condizioni in cui i prigionieri vagavano giorno e notte.
Dopo il concentramento a Valujki, i fratelli Bordino furono rinchiusi in un carro bestiame e trasportati ad Ak Bulak: qui le loro strade si divisero.
A soffrire di più era Andrea: quel poco cibo che gli passavano lui lo spartiva con i malati e i moribondi pur di confortarli e non sentirli bestemmiare. Finché si ammalò di tifo petecchiale.
Trasferito in Siberia
Trascorsi un paio di mesi, con migliaia di altri prigionieri, Andrea fu trasferito in Siberia, dove sopravvisse per quasi un anno tra grandi sofferenze. Un alpino, Francesco Toppino, anche lui di Castellinaldo, dopo la guerra raccontò di aver recitato parecchie volte il Rosario con Andrea, camminando nella neve senza sosta per sfuggire al congelamento. Un altro alpino, un certo Ghione, in quelle drammatiche giornate sentì Andrea promettere più volte: «Se ritorno a casa, voglio dedicare la mia vita ai sofferenti».
A Castellinaldo papà e mamma Bordino vivevano con angoscia la lontananza dei due figli prigionieri in Russia: di loro non avevano più avuto notizie. A sorreggere questo dolore c’era solo la fede, che si trasformava in preghiera: ogni sera la famiglia Bordino si riuniva per recitare il Rosario.
A migliaia di chilometri di distanza, sperduti nelle steppe sovietiche, anche Andrea e Risbaldo pregavano, e speravano.