Suor Letizia Mandelli, arrivata alla Piccola Casa pochi mesi prima di fratel Luigi, lavorò al suo fianco prima come studentessa allieva e poi come caposala.
A livello professionale rimarco la piena e facile collaborazione con fratel Luigi, e ciò perché era un vero uomo, generoso e sempre disponibile: non pensava mai che gli si facesse un torto. Non perdeva la calma e taceva. Era l’uomo che seppelliva tutto!
A volte tra noi caposala o con i medici primari nascevano divergenze; quelli erano i momenti di fratel Luigi: la sua presenza appianava ogni cosa e nessuno rimaneva scontento».
«Mi sembra di vederlo ancora quando la mattina, dopo la Messa di comunità, prendeva servizio – ricordava suor Piera Fogliato –: entrava in reparto quasi sempre in compagnia di un “buon figlio” (insufficiente mentale grave) o altro ricoverato a cui prestava le sue cure. Indossato il camice bianco, incominciava il lavoro e sia per me sia per i degenti la sua presenza era un grosso sollievo. Mai uno sgarbo o un atto di impazienza: qualunque lavoro facesse, rivelava serenità e amore. Le sue mani medicavano ferite, curavano piaghe, pulivano i malati con delicatezza e competenza straordinarie. In corsia, in sala operatoria, come in chiesa al servizio dell’altare, in qualunque posto si trovasse, fratel Luigi aveva sempre lo stesso contegno».
Non parlava molto, fratel Luigi, preso dalle cure e dalle attenzioni per i malati. «Sembrava rude ma non lo era – scrisse suor Chiara Cortinovis –. Fine e delicato, era gentile con tutti. Quel che mi stupiva di più in fratel Luigi era quando portava i malati in sala operatoria: li preparava psicologicamente e spiritualmente; stava loro vicino, per cui questi erano sereni e tranquilli».
I titoli onorifici di fratel Luigi
La figura di fratel Luigi era di esempio non solo per i medici e le suore:
Nel 1964, e solo per sette giorni, ebbi l’occasione di essere ricoverato all’ospedale Cottolengo – testimoniò Fabio Strumia –. Fui assistito da fratel Luigi, un’immagine di uomo che oserei chiamare “un santo”.
Ricordo la sua munificenza verso alcuni ricoverati (si trattava per lo più di barboni senza casa) che avrebbero dovuto essere dimessi, ma questi non avevano né pensione né assistenza esterna. Fratel Luigi, con piccole diagnosi mediche, riusciva a continuare la degenza, risolvendo in tal modo il problema del vitto, alloggio e riscaldamento».
Riguardo agli assistiti, la caposala suor Piera Fogliatto aggiungeva: «I malati guariti serbavano riconoscenza imperitura a fratel Luigi. Anche i barboni tornavano a trovarlo: sovente venivano per essere curati o per farsi medicare certe piaghe. Magari, dopo diversi anni ripassavano a salutare e ringraziare. (…). A volte queste persone si presentavano a noi suore e, chiedendo di fratel Luigi, ne sbagliavano il nome. Dicevano: “C’è padre Luigi?” o “don Luigi” o “il dottor Luigi” o “il professor Luigi”. Noi suore commentavamo: “Quanti titoli onorifici ha fratel Luigi!”. E lui rispondeva: “I titoli onorifici sono niente e servono a nulla, se non sappiamo agire per puro amore di Dio”».
Fratel Luigi non parlava molto con i malati, ma intuiva tante cose. «Ascoltava tutti con tanta pazienza – testimoniò suor Chiara Cortinovis –: la stessa pazienza che usava con il primo che incontrava al mattino, era riservata nel medesimo modo con la centesima persona che incontrava poi la sera tardi: per tutti aveva una parola buona, un sorriso e magari una carezza. Per fratel Luigi non c’era mai sosta: dimenticava se stesso per aiutare e fare contenti gli altri».